by Simona D’Agostino Reuter
Mega-Cap o Small-Cap – Qual E’ La Differenza, Dal Lato Dell’IROs?
La mia tesi di Laurea in Economia Aziendale aveva come titolo “Micro e macrocosmi, le PMI ed i distretti industriali”. E’ passato un po’ di tempo da allora, ma il tema di fondo è rimasto invariato: le realtà italiane, anche quando piccole, sono molto spesso capaci di primeggiare a livello europeo e mondiale, pur partendo da posizioni di svantaggio competitivo non indifferenti.
Aziende quasi sempre di dimensioni molto inferiori a quelle dei propri competitor internazionali, eppure in grado di vincere la loro sfida; tuttavia troppe volte, le nostre imprese sono eccezionali nel fare business, molto meno nel raccontare se stesse e il loro mondo a potenziali investitori.
Le piccole medie imprese sono ancora un’importante fonte di sostegno per l’economia italiana. Sono contesti spesso destrutturati, snelli, con meno risorse a disposizione, ma sono anche caratterizzate da processi decisionali rapidi, da responsabilità chiare e dirette e offrono realmente la possibilità di mettere a frutto le competenze acquisite, di dare un valore aggiunto all’organizzazione e trovare motivazione e soddisfazione grazie al proprio contributo pratico e strategico.
La qualità è tutto per questo tipo di aziende, perché i loro prodotti e i loro successi spesso si indentificano con la vita, la storia e la passione di un’intera famiglia. Il know how, la dedizione, il valore dei brand sono un patrimonio inestimabile che ha spesso permesso a queste realtà di affrontare la crisi mantenendo la propria solidità finanziaria e i propri standard qualitativi.
Di contro, le multinazionali costituiscono un ambiente dinamico, multiculturale, competitivo e aspirazionale. C’è però anche il rovescio della medaglia che prevede funzioni parcellizzate, procedure articolate, rigide gerarchie e, soprattutto in anni recenti, anche l’accentramento dei processi decisionali presso gli headquarter che lasciano poca autonomia alle sedi operative locali e, di conseguenza, ai loro manager. In questo senso alcuni illuminati imprenditori italiani, pur mantenendo l’impostazione padronale, per i ruoli strategici chiave decidono di avvalersi di manager esperti e competenti formatisi spesso in realtà multinazionali.
Dal lato dell’IROs, e quindi parlando di realtà benché piccole o medie già approdate in Borsa o magari vicino alla quotazione e nella fase di focalizzazione su processi e procedure in grado di sostenere e sviluppare la nuova “vita dell’azienda post IPO”, esiste realmente questa differenza tra small e big?
Come discusso nel mio precedente Blog “SELL-SIDE E INVESTOR RELATIONS – Le nuove sfide e le difficoltà post MIFID II http://hear-ir.com/sell-side-e-investor-relations-le-nuove-sfide-e-le-difficolta-post-mifid-ii/ ”, il sell-side, così come il corporate access, hanno il compito di generare interesse nella storia di un’azienda, facilitando in tal modo la vita dell’IR, rendendo un valido servizio al top management, al CdA dell’azienda, e garantendo un entry point a fund managers che altrimenti risulterebbe inaccessibile. Soprattutto se parliamo di small-cap, o società magari appena quotate, il ruolo del broker è fondamentale ed insostituibile. La storia può cambiare invece se ci riferiamo a grandi aziende: un marchio famoso, un nome riconosciuto a livello internazionale, nonché un’azienda di grandi dimensioni con risultati sempre in linea con le aspettative, e che magari distribuisce utili con payout elevati, va da sé che si “vende da sola”.
In tal caso, il lavoro degli IROs, può risultare piuttosto facile, per organizzare un meeting con Fidelity, T Rowe Price, Nordea, ecc, non dovranno far altro che alzare il telefono! Il coverage può ancora arrivare facilmente a 10-15 analisti, anche in Italia. La parte più “divertente”, allora, diventa scegliere di volta in volta, l’istituzione che preferiamo, o meglio, che riteniamo più adeguata, in quel momento – per svariati motivi, non solo riconducibili alla raccomandazione sul titolo, ma per il roadshow o la conferenza in questione, perché abbiamo un feeling particolare con l’analista, noi o il CEO (si conta anche questo) o perché il broker ha appena emesso una ricerca su di noi particolarmente interessante.
Non si può negare tuttavia che il buy side tenda a contattare direttamente l‘IROs ed in generale le aziende, più di sovente (post Mifid II). Per conferenze di un certo rilievo, nonché per organizzare roadshow ad hoc, andare dalla banca/broker è ancora molto in uso, ed auspicabile, ma per eventi minori, o meetings facilmente gestibili, il corporate access diventa meno necessario.
Però, come sostiene Alberto Borgia, Presidente AIAF Associazione Italiana per l’Analisi Finanziaria, in merito al mercato dei capitali “Non dimentichiamo che è fondamentale per gli investitori poter disporre di ricerche indipendenti che coprano i titoli sui quali essi investono, per verificare la valutazione degli stessi. Per un paese come l’Italia, in cui la dorsale economica è rappresentata dalle PMI, non avere ricerca sulle piccole società quotate significa sottrarre risorse alla crescita del PIL”
A titolo di esempio, si possono considerare una serie di azioni efficaci volte ad aumentare la visibilità del titolo di cui siamo responsabili, e di conseguenza ottenere più coperture da parte degli analisti, e maggior attenzione da parte degli investitori:
- Selezionare e contattare analisti sell-side che coprono il settore della nostra azienda, o i peers. Questo è più naturale in UK, US e Nord Europa, ove la specializzazione il più delle volte è richiesta e necessaria, molto meno in Italia ove i brokers sono per la maggior parte generalisti. Ma è un tentativo da fare.
- Contattare direttamente analisti buy-side che abbiamo conosciuto nella nostra esperienza, e che supponiamo possano essere interessati all’equity story che proponiamo, o che si fidano del nostro giudizio di IR e che quindi possono essere propensi ad accettare un meeting con il top management.
- Fornire dati e metrics utili ed adeguati per andare incontro alle necessità e richieste degli investitori. Mantenere alta la credibilità è fondamentale, soprattutto per una piccola azienda. Bisogna, in primis, essere il più possibile trasparenti ed aiutare gli interlocutori a capire il nostro business ed i progressi effettuati.
- Cercare di mantenere un dialogo proattivo, se del caso, anche con un secondo analista, vale a dire il junior che di solito è di supporto all’analista di riferimento che copre il titolo.
Cosa altro può fare un IRO, in questo orizzonte poco chiaro ed instabile?
A mio parere, focalizzarsi prima di tutto sull’elaborazione di un Programma IR, parte essenziale delle attività di IR, e sempre più un fattore critico di successo per i rapporti tra la società quotata ed i propri azionisti. Il modo in cui un’azienda presenta se stessa – attraverso la propria equity story ed il sito web – è fondamentale, per ogni società quotata, sia essa piccolo o grande.
E questo ovviamente attraverso la stesura di messaggi chiave e pertinenti, ricordando sempre che avendo minor visibilità e notorietà, è molto importante mantenere un brand credibile ed attraente. Inoltre, ricorderei l’importanza dell’Investor Targeting, che per una small-cap è un’attività ancora più complessa e variegata, ma appunto per questo, ancora più determinante.
Personalmente, ho iniziato nelle IR in una piccola azienda, nel momento del boom delle tecnologiche, per poi passare per molti anni ad una grande realtà, quotata prima allo Star, promossa al FTSE Mib, ed infine migrata al NYSE; si, può essere piuttosto diverso l’ufficio IR di una large rispetto a quello di una small-cap, soprattutto a livello di copertura sell-side, e di interesse ed attrazione da parte degli investitori (anche se questo dipende da molti fattori concomitanti, non solo riferibili alla size), ma a mio parere le basi del nostro lavoro day by day, ed il pathos che ne deriva, sono gli stessi.